Buriasco - pinerolo blues

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A Buriasco ho gestito per due anni un Centro di lettura. Era una delle lodevoli iniziative dello Stato volte a diffondere l’abitudine a leggere libri. Era in parte una biblioteca con un servizio di prestito, in parte un punto di incontro di persone che volevano migliorare il proprio livello di istruzione. I libri a disposizione erano per la maggior parte opere di scrittori italiani appartenenti alla storia della letteratura. Ricordo le ore passate a riflettere su come avrei potuto avvicinare quei contadini per i quali la lingua italiana era totalmente sconosciuta alle opere che vedevo allineate sugli scaffali…
 
Per prima cosa, avevo pensato di organizzare dei gruppi di incontro e di lettura, dove si potesse parlare delle proprie esperienze scolastiche, chiedere ciò che non si sapeva e avere delle risposte. Avevo fatto preparare dei biglietti di invito, che distribuivo presso diverse famiglie. Al primo appuntamento, erano presenti quattro donne, non tantissime, ma meglio di niente, come si suol dire. Ho notato da parte loro un grande imbarazzo nel parlare delle letture  fatte a scuola o anche dopo, a cui speravo di agganciarmi. La seconda volta non sono più venute. Sono sicura che la mia sia stata  un’impressione sbagliata, ma avevo avuto la sensazione che le signore avevano sperato che il Centro di lettura potesse essere una specie di doposcuola per i loro figli in difficoltà con i compiti. Da parte mia non avrei avuto nulla in contrario ad assisterli nei doveri scolastici, a patto che questo impegno non occupasse la totalità delle ore di apertura del Centro, che era destinato all’istruzione degli adulti, non degli allievi in età scolare. Quando ero andata a far presente alle maestre questo desiderio inespresso delle mamme e avevo chiesto loro se avremmo potuto cogliere l’occasione per coinvolgere in qualche modo anche gli adulti in qualche iniziativa di tipo artistico-culturale organizzata sia da me che da loro, la mia domanda è caduta nel vuoto.           
 
Anche se gli abitanti non dicevano apertamente il motivo per cui non erano interessati a partecipare alle iniziative che proponevo, si intuiva che consideravano la lettura, la riflessione, i commenti su ciò che si era letto un’attività inutile e insignificante. Avevo un bel provvedere a fotocopiare alcune pagine di un libro presente in biblioteca, considerato degno d’interesse per la vicinanza di contenuto alla loro vita quotidiana, per poi leggerle e commentarle insieme, l’interesse rimaneva tiepido.

Nei giorni feriali, il Centro rimaneva aperto per tre ore nel tardo pomeriggio.  All’ora di chiusura iniziava questo interessante programma, la cui sigla è rimasta impressa per sempre nella mia mente. Quanto avrei voluto trasmettere dei contenuti simili agli eventuali frequentatori del Centro, magari usandoli come riferimento, ma mi rendo conto di aver avuto delle pretese troppo alte...
Non era servito a nulla neanche il fatto che avessi scelto di tenere aperto il Centro la domenica mattina, quando le persone uscivano dalla Messa. Poiché il locale si trovava proprio di fronte alla chiesa, era molto umiliante veder passare davanti alle mie finestre decine di persone che guardavano dentro, ma poi tiravano dritto. Non so quanti sarebbero stati d’accordo a sacrificare la domenica a quelle anime disinteressate, considerando inoltre che lo stipendio era davvero irrisorio…
 
Il primo libro di cui avevo proposto la lettura e la discussione era ‘La terra il lavoro’, che raccontava la vita contadina nel quotidiano e le lotte agrarie in Friuli. Avevo poi continuato con il capolavoro di Giovanni Verga, I Malavoglia. Un libro splendido che, anche se ambientato in una regione lontana, forniva molti spunti di discussione. Le fotocopie, distribuite in anticipo rispetto all’incontro,  permettevano alle partecipanti – in genere erano tutte donne - di leggere il testo a casa, per conto proprio, per poi dibatterne in biblioteca. Mi rendevo conto che il parlare in pubblico di un testo che si era letto era difficile e faticoso, ma era una cosa che aiutava ad aprire una finestra sulle proprie idee, sulle emozioni e sui sentimenti.

Poiché all’Università frequentavo la Facoltà di Pedagogia con indirizzo psicologico, avevo pensato di organizzare un corso di psicologia infantile tenuto da me. Avrei parlato di come accompagnare il bambino nel viaggio alla scoperta della propria personalità e indipendenza, nel passaggio attraverso le varie fasi fino alla conquista della maturità e del senso di responsabilità. Al primo incontro si sono presentate due mamme, poi il numero è leggermente aumentato, ma di poco. .
 
Ero anche andata a parlare con il parroco, don Elia Beccari, per chiedergli se sarebbe stato disponibile a collaborare con me su alcuni temi di sua pertinenza. Fra i libri presenti sugli scaffali che avremmo potuto leggere ad alta voce e commentare c’era ad esempio il bellissimo testo di Georges Bernanos Diario di un curato di campagna, la storia di un giovane prete che vuole ispirare la sua azione pastorale allo spirito del Vangelo e che per questo entrava in contrasto con i parrocchiani. C’erano anche tre volumi sulla storia delle religioni, che partivano dalla nozione di religione nella cultura religiosa greca, in quella romana  e nell’Occidente cristiano. La reazione del parroco è stata di totale mancanza di interesse e di noncuranza verso questi temi.

La cosa più assurda era che almeno una ventina di persone del paese, di nome Fenoglio, erano miei zii e cugini. A riflettere oggi sul fatto che non abbiano mai sentito il bisogno di venire nemmeno a farmi almeno una visita di cortesia, la dice lunga sulle loro qualità umane.

Il giorno in cui doveva venire l’ispettore scolastico per la verifica, mia madre è andata da suo fratello Gino a chiedergli se lui o qualcuno dei suoi figli sarebbero stati disposti a venire ‘a fare numero’,  per usare un’espressione un po’ cruda, dato che temevo che sarebbero stati in pochi a presentarsi su richiesta Lui si è rifiutato, dicendo che dovevano lavorare. Mi sarebbe piaciuto vedere come avrebbe reagito se anche mia madre gli avesse dato la stessa risposta quando lui veniva a chiamarla perché andasse ad assistere sua moglie all’ospedale.



Uno dei parenti che di sicuro non avrei voluto vedere al Centro era Fenoglio Michele, lo zio criminale. Quando avevo 11 anni e lui aveva deciso che l’eredità non dovesse essere divisa con fratelli e sorelle, aveva fatto precipitare tutti in una vita d’inferno. A cominciare dai suoi genitori, con i quali era violento a livello fisico e verbale. In quanto a noi, ce lo trovavamo, con la bava alla bocca e i lineamenti stravolti, davanti alla porta di casa, con la pistola spianata a urlarci insulti. Ricordo come se fosse adesso di quando gli passavo davanti per andare a scuola il pomeriggio e lui, agitando la pistola davanti al mio viso, mi urlava in dialetto: “Avete paura, eh, a uscire di casa? Ma vi faccio vedere io!”

Oltre al timore che compisse qualche atto inconsulto, c’era la vergogna verso i vicini che, a sentire le sue urla, socchiudevano gli usci per vedere che cosa stesse succedendo. Dopo qualche mese di questo tormento, tutti e quattro gli altri figli si sono messi d’accordo per firmare una rinuncia all’eredità e lasciare a lui la cascina, i terreni, i soldi purchè la smettesse. La zia Maria ha fatto molto di più. Per sottrarre gli anziani genitori alle violenze di quel pazzo, li ha ospitati prima da lei, poi nell’alloggio accanto al suo, che nel frattempo si era liberato. Mia madre, da parte sua, andava tutti i giorni a tener loro compagnia, a pulire e a mettere in ordine l’appartamento, oltre a preparare loro da mangiare.     

Ma i pericoli non erano ancora finiti, almeno per me. Un nipote della zia Maria, Roberto, aveva avuto la cattiva idea di chiedere un prestito proprio a questo individuo pericoloso. La zia aveva allora deciso di rimborsare di tasca sua la somma prestata, per evitare ulteriori guai. Ma il pazzo chiedeva un interesse piuttosto alto e io ho commesso l’imprudenza di sottolinearlo. Non l’avessi mai fatto! Eravamo nel cortile della cascina che era diventata sua con il sistema che ho detto e lui, preso dalla rabbia, si è chinato ad afferrare un grosso mattone e me l’ha scagliato contro. Per fortuna, io non mi sono mossa e il mattone mi ha sfiorato il viso senza però colpirmi. Avrei potuto rimanere sfigurata o avere dei gravi danni agli occhi, chissà…


 
Poiché i miei genitori sono sepolti nel cimitero di Buriasco, ho chiesto al sindaco se era possibile per me acquistare un loculo.
Purtroppo nella parte vecchia, ma ancora di più nella parte nuova del cimitero, oltre a diverse lapidi gigantesche, ci sono molti mausolei di pietra e marmo. Per costruire questi sepolcri monumentali sono state sbancate le montagne, ma che importa? L’importante è avere un monumento smisurato che tramandi nei secoli il proprio nome.

E’ evidente che i seguenti, bellissimi versi di Adriana Zarri, non hanno molti seguaci in quel di Buriasco:
Non mi mettete marmo freddo
Con sopra le solite bugie
Che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
Che scriva, a primavera,
Un’epigrafe d’erba.

La conseguenza di questo sfruttamento intensivo dello spazio è che non ne rimane alcuno per altri richiedenti. Anche se, come nel mio caso, si hanno legami di lavoro con quel paese, ci sono i propri genitori e nonni sepolti in quel camposanto. Non basta. Occorre essere in possesso della residenza o, in alternativa, diventare un ‘benefattore’... Se si fa un lascito al comune si acquisisce automaticamente il diritto ad avere una celletta per le proprie ceneri.

La prima opzione che mi ha offerto è stata una nicchia proprio di fianco a quella dello zio criminale. Ci voleva vicini per sempre…
Adesso in quel loculo c’è il figlio, Giuseppe, che lui ha massacrato di botte negli anni in cui viveva ancora in casa. Ricordo una volta in cui eravamo tutti e tre in cucina. Il bruto sembrava tranquillo, Giuseppe è andato verso la finestra per prendere una cosa sul davanzale. In questo modo, però, si è ritrovato all’angolo, senza vie di uscita per allontanarsi dal padre. Questi ne ha subito approfittato per colpirlo con pugni e schiaffi. Io mi sono messa ad urlare contro di lui di smetterla, ho anche cercato di fermarlo con il risultato di prendermi un colpo in faccia anch’io.
 
La morte ha unito l’aguzzino e la vittima …
Per fortuna si è poi presentata un’alternativa, che ho accettato.
 
Per avere diritto a questo privilegio, non essendo io residente in questo comune, dovevo risultare benefattrice. Poiché si stavano facendo lavori di ristrutturazione del muro di facciata del cimitero e della cappella, ho pensato che avrei potuto pagare io il restauro dell’affresco di S. Rocco, posto sopra al portone della chiesa.
 
Sono stata molto generosa perché, anziché versare solo il prezzo del restauro, che ammontava a 800 euro, io ne ho donati 2000, manifestando l’intenzione che la somma restante fosse conservata per il mantenimento futuro del dipinto. Purtroppo non è stato così e i soldi sono finiti nell’immondizia.  E non è un modo di dire, dato che sono andati a coprire i costi della raccolta dei rifiuti.
 
La mia decisione però aveva avuto un carattere premonitore. Oggi, infatti, a tredici anni dal restauro, l’affresco è completamente rovinato, i colori sono spariti e il volto di S. Rocco è ridotto ad una macchia scura. Una vera pena.
 
Ho fatto una piccola ricerca sulla ditta che aveva eseguito in restauro, i Fratelli Dianti. Sul loro sito si dice che il loro non è solo un lavoro, ma una passione coltivata in famiglia. Per il restauro di chiese e di case d’epoca usano materiali d’avanguardia e di indiscussa qualità e la padronanza delle varie tecniche permette di utilizzare diversi tipi di pittura, comprese quelle naturali all’uovo e al latte.
 
Non so quale delle tecniche abbiano usato per l’affresco di S. Rocco, se all’uovo, al latte o altro, sta di fatto che il dipinto sta sparendo. Io non ho nulla da rimproverarmi, anzi. Oltre ad aver chiesto al sindaco di compensarli con 1000 euro anziché gli 800 richiesti, ho regalato loro una grossa torcia del valore di 150 euro.
 
 
       
Nel lontano 1980 mia madre aveva acquistato due loculi per mio papà e per se stessa.                                                     
Purtroppo, malgrado lei avesse chiesto che, qualora possibile, gli stessi fossero in basso, il suo desiderio non solo non è stato accolto, ma gliene sono stati aggiudicati due nell’ultima fila in alto.     
Per quarant’anni ho spostato avanti e indietro la pesantissima scala che mi permetteva di raggiungere il loculo di mio papà e, in anni più recenti, quello di mia mamma.   

      
 
 
Penso che un periodo di tempo così lungo possa bastare, così ho preso la decisione di far cremare i resti dei miei genitori e ne ho fatto disporre le urne con le ceneri nella celletta che avevo comprato per me. Ci è voluto quasi un anno di pratiche e di esercizi di pazienza – non avevo mai visto il titolare dell’impresa di pompe funebri a cui mi ero rivolta perdere le staffe, dato che è la persona più gentile ed amabile che esista – ma, in quest’occasione, gli è successo. Alla fine, ce l’abbiamo fatta.
 
Adesso, sta passando un altro anno per avere il rimborso sull’acquisto dei due loculi dei miei genitori, dato che le loro salme sono state rimosse molto prima della scadenza. Quanta differenza fra il pubblico e il privato! Ogni cinque anni, io verso ai miei inquilini gli interessi sulla caparra versata, loro quegli interessi se li sono sempre tenuti. Ed è trascorso quasi un anno senza che io abbia avuto il rimborso a cui ho diritto.    


P.S.: A quasi un anno di distanza il piccolo rimborso è arrivato.
 

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