POVERI, VECCHI TRAVELLER'S CHEQUES
Dico all’impiegata della Banca San Paolo dei miei traveller’s cheques. “Non li trattiamo più” mi risponde seccata. È evidente che non ha capito, lei pensa che io li voglia acquistare.
“Non li voglio comprare, li voglio vendere, dare indietro” aggiungo. Si tratta di una mazzetta che era stata dimenticata in fondo a un cassetto. Non è una grande somma, ma neanche piccola. “Risalgono di sicuro a decenni fa!” prosegue, sempre più irritata, la donna. Decenni no, un decennio probabilmente sì. Mi mette allora in mano un numero di telefono dell’Ufficio esteri. Giunta a casa chiamo quel numero, mi viene risposto che non è cosa di loro competenza.
Decido allora di telefonare direttamente negli Stati Uniti, alla Banca che li ha emessi. La donna che mi risponde ha una voce dolcissima, con l’accento strascicato tipico del Sud. Le espongo il caso e forse le sembro un po’ ansiosa perché il suo timbro di voce diventa ancora più tranquillizzante.
“Innanzitutto i traveller’s cheques non scadono mai – mi comunica subito - poi, la banca che glieli ha venduti è tenuta a ricomprarli, trattenendo una piccola commissione.” Un concetto chiaro e semplice, che l’impiegata della banca del Santo non sembra conoscere. Aggiunge che, qualora non riuscissi a risolvere la situazione, posso telefonare al loro ufficio a Milano. Trascrivo diligentemente il numero che mi fornisce.
Sono sollevata e c’è una frase che mi viene subito alla mente: “God bless America!”, insieme ai suoi impiegati seri e coscienziosi. Allo stesso tempo, un secondo pensiero o, meglio, un’invocazione, affiora prepotente: quella di far scendere mille maledizioni su quella dipendente ignorante e incompetente, che si è presa gioco di me e mi ha solo fatto perdere tempo...